Il 25 Novembre è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne perché, purtroppo, nonostante tanti passi avanti siano stati fatti, la donna continua ad essere vittima della prepotenza e dell’aggressività dell’uomo.
Durante il 2021 una donna è stata uccisa o violentata ogni tre giorni, un dato di per sè già eclatante, ma quando scopriamo che questa è “solo” la media italiana, ci rendiamo conto che la situazione è veramente critica: infatti, nel mondo, ogni settantadue ore una donna viene violentata o uccisa.
In Italia, tra le vittime dei 289 omicidi del 2021, 116 sono donne, quindi il 45%: 100 uccise in ambito familiare o affettivo e di queste, 69 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner.
Ma vi siete mai chiesti perché è stato scelto proprio il 25 Novembre come data per onorare tutte le donne vittime di violenza? La risposta va ricercata nella storia delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal – tutte attiviste politiche – che furono uccise nella Repubblica Dominicana su ordine dell’allora dittatore del Paese, Rafael Leónidas Trujillo, in questo esatto giorno. Le tre donne stavano andando a far visita ai loro mariti in prigione, quando furono bloccate lungo il tragitto da agenti del Servizio di informazione militare, portate in un luogo nascosto, stuprate, torturate e strangolate. Poi, vennero gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. Per quanto ci trovassimo in una dittatura, l’episodio fortunatamente non fece restare indifferente l’opinione pubblica: nel 1981, nel primo incontro femminista latinoamericano e caraibico, svoltosi a Bogotà, si decise di celebrare il 25 novembre come la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Dal 1999, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ufficializzò questa ricorrenza.
Ancora oggi, alcuni casi di femminicidio segnano particolarmente l’immaginario collettivo e alimentano la cronaca sui media per la brutalità e l’efferatezza. Troppo spesso si tratta di “morti annunciate”, arrivate dopo mesi di minacce, stalking o soprusi ai danni di vittime che, ahimè, hanno tardato a sporgere denuncia, o addirittura non lo hanno fatto mai.
La violenza purtroppo non si ferma neanche di fronte alle bambine o alle donne più anziane.
Il 2021 si è aperto con un delitto che in orrore supera tutti gli altri perché in questo caso la vittima è stata una bambina di soli 18 mesi. Sharon è morta l’11 gennaio a Cabiate, in provincia di Como, dopo essere stata maltrattata e violentata. Per il delitto è stato arrestato l’ex compagno della madre.
La notte tra sabato 23 e domenica 24 gennaio, sempre del 2021, è stata uccisa Roberta Siragusa, di 17 anni. Il corpo della ragazzina è stato rinvenuto in un burrone in una zona impervia a Caccamo, in provincia di Palermo. Da un video di una telecamera di sorveglianza, qualche giorno dopo è emerso anche che la giovane è stata bruciata viva. In carcere per omicidio è finito il fidanzato, Pietro Morreale, 19 anni, accusato anche di occultamento di cadavere.
Un altro caso che ha coinvolto l’opinione pubblica, è stato quello di Saman Abbas, ragazza di 18 anni, pachistana, che dal 2016 viveva in Italia con la famiglia, in una cascina nelle campagne di Novellara, comune della provincia di Reggio Emilia, molto vicino alla nostra Suzzara. Secondo le indagini, Saman sarebbe stata uccisa e il suo corpo occultato perché si era opposta a un matrimonio combinato. In un video recuperato comparivano tre uomini con abiti scuri, uno con la pala, uno con un sacchetto e un terzo con un altro attrezzo. Secondo gli investigatori si sarebbe trattato dello zio e dei due cugini di Saman, ripresi mentre stanno andando a scavare la fossa dove occultare poi il corpo della giovane. Ikram Ijaz, uno dei due cugini di Saman, è stato arrestato a Nimes dalle Autorità di polizia francese e poi estradato in Italia. È indagato per omicidio e occultamento di cadavere. Lo zio di Saman, Danish Hasnain, considerato l’esecutore materiale del delitto, ma anche la mente del progetto criminoso, in base alle accuse formulate dal fratello di Saman, è stato arrestato alla periferia di Parigi scorso. Per i genitori di Saman, anch’essi indagati per concorso in omicidio premeditato e occultamento di cadavere, attualmente in Pakistan, è stata già chiesta e accordata l’estradizione.
Potremmo elencare tanti altri nomi di donne che hanno subito violenza e morte: da Clara, 70 anni, di Genova ad Ornella, 40 anni, di Napoli, a Vanessa, 26 anni, di Acitrezza; da Ada, 46 anni di Bronte a Elena, 49 anni, di Brescia. Da Nord a Sud, la violenza è sempre la stessa e perpetrata ai danni di queste donne dai mariti, fidanzati, ex – fidanzati, parenti, da persone insomma molto vicine a loro.
L’aspetto, però, che a noi risulta più preoccupante e lascia senza parole, non è tanto e soltanto il numero delle vittime, bensì la negligenza e l’assurda quantità di persone che minimizzano l’atto aggressivo. Tre persone su dieci, infatti, non considerano violenza “dare uno schiaffo alla partner, se lei ha flirtato con un altro”. Ulteriore problema è che di tale assurdità ne è convinto anche il 20% delle donne. Gli uomini ovviamente sono di più, il 40%. Ma c’è dell’altro: un italiano su quattro pensa che non sia violenza commentare un abuso fisico subìto da una donna: «è meno grave perché il suo abbigliamento o aspetto comunicavano che era disponibile» o si metteva troppo in mostra . A pensarlo sono in maggioranza gli uomini (30%), ma anche la percentuale delle donne è significativa (20%). Se poi ci basiamo su un’altra ricerca realizzata da Ipsos per WeWorld, scopriamo che il 70% delle lavoratrici ha subito discriminazioni in ambito lavorativo e più del 40% dichiara di aver subito una forma di violenza e/o molestia oppure un atto violento o una forma di controllo in una relazione sentimentale o familiare.
Purtroppo, pensiamo che non ci libereremo mai della violenza nei confronti delle donne, perché la mentalità di alcuni uomini è ancora troppo chiusa, troppo maschilista, troppo arroccata nell’idea che la donna sia un oggetto di proprietà, senza diritti e da tenere sotto controllo.
Anche se non ci libereremo mai della violenza, però, possiamo lavorare al massimo per ridurla: ad esempio portando questa educazione al rispetto, alla parità di genere nelle scuole, a partire dall’Infanzia, attraversando la Primaria fino ad arrivare alla Secondaria, perché prima si impara a rispettare le donne, maggiore è la probabilità che i bambini formati non diventino violenti e maneschi.

Classe 3^C